Le certificazioni FSC o PEFC sono sufficienti la compliance EUDR?
Questa è la classica domanda che ci viene spesso fatta da aziende che hanno appena conseguito una certificazione FSC® o una certificazione PEFC.
Il Regolamento EUDR prevede un obbligo stringente di due diligence per “tutti” gli operatori, basato su tre pilastri fondamentali:
- Informazioni precise, incluse coordinate geografiche dell’origine delle materie prime.
- Valutazione del rischio, basata su indicatori oggettivi.
- Mitigazione del rischio, se necessario, prima dell’immissione sul mercato.
Con il termine operatori, si intendono una serie di attori che prendono parte alle operazioni di importazione, commercializzazione, o distribuzione di prodotti a rischio deforestazione.
In particolare operatori che importano o mettono in commercio i prodotti coperti dall’EUDR, operatori non europei che esportano prodotti a rischio verso l’UE, operatori indiretti, cioè coloro che, pur non essendo direttamente coinvolti nell’importazione, nella produzione o nella distribuzione finale, possono comunque essere coinvolti nella catena di fornitura di materie prime o prodotti finali, commercianti che vendono prodotti già immessi sul mercato o che partecipano alla filiera, senza essere direttamente coinvolti nell’importazione.
Il regolamento NON accetta alcun certificato volontario come strumento sostitutivo della due diligence. Tuttavia, gli articoli 9 e 10 consentono l’uso di certificazioni come elementi di supporto nella valutazione del rischio.
Come usare le certificazioni FSC e/o PEFC in modo efficace?
Anche se da soli non sono sufficienti a garantire la conformità alla Regolamentazione Europea contro la Deforestazione (EUDR), gli schemi volontari di certificazione possono comunque rappresentare uno strumento prezioso all’interno di una strategia integrata di compliance. Il loro valore aumenta quando vengono utilizzati come parte di un approccio più ampio, in grado di combinare dati, tecnologie e relazioni contrattuali per garantire tracciabilità e sostenibilità della catena di approvvigionamento.
Un primo esempio di utilizzo strategico delle certificazioni riguarda la valutazione del rischio. Certificati riconosciuti possono essere utili per attribuire un livello di rischio iniziale a fornitori o Paesi di origine. Ad esempio, una materia prima proveniente da un Paese ad alto rischio di deforestazione, ma fornita da un’azienda certificata da uno schema serio e credibile, potrebbe essere gestita con controlli meno onerosi rispetto a un fornitore non certificato. Tuttavia, è importante che questo approccio sia sempre accompagnato da una verifica indipendente, soprattutto nei casi in cui la sola certificazione non basti a garantire la conformità.
In parallelo, è fondamentale verificare la presenza di dati geospaziali, che rappresentano un elemento chiave nella due diligence EUDR. Le certificazioni possono essere arricchite da informazioni provenienti da sistemi GIS, immagini satellitari o piattaforme blockchain, che consentono di localizzare con precisione le aree di produzione e verificarne la compatibilità con i requisiti EUDR. Un’azienda che importa caffè, ad esempio, potrebbe combinare la certificazione del proprio fornitore con immagini satellitari che dimostrano l’assenza di deforestazione nella piantagione da cui proviene il prodotto.
Un altro aspetto spesso sottovalutato riguarda l’integrazione della certificazione nei contratti con i fornitori. È buona prassi, oltre a richiedere la certificazione, inserire nei contratti clausole che obblighino i fornitori a fornire evidenze aggiuntive sulla tracciabilità e sulla geolocalizzazione dei prodotti. Questo passaggio rafforza il livello di responsabilità condivisa e consente di ottenere una documentazione più solida in caso di controlli da parte delle autorità competenti.
Infine, la scelta dei partner certificatori gioca un ruolo cruciale. È consigliabile orientarsi verso organismi che abbiano sviluppato sistemi di audit capaci di adattarsi agli obblighi specifici dell’EUDR, o che offrano certificazioni evolute, definite “EUDR-ready”. Alcuni enti, ad esempio, hanno iniziato a integrare nei propri standard criteri specifici legati alla geolocalizzazione delle aree produttive e alla gestione del rischio deforestazione, anticipando così i requisiti della normativa europea.
In conclusione
- Le certificazioni volontarie sono strumenti utili ma non sufficienti per l’EUDR.
- Se la Commissione formalizzerà criteri di equivalenza, alcuni schemi potrebbero adattarsi (es. sie FSC che PEFC ha già avviato un aggiornamento in chiave EUDR).
- Ma fino ad allora, l’autovalutazione e la due diligence “custom” restano obbligatorie.
- Il futuro sarà nella combinazione di standard riconosciuti, tecnologie di tracciabilità e sistemi contrattuali intelligenti.
- La chiave per le imprese è non sovrastimare il valore giuridico di un certificato senza verificarne l’aderenza tecnica al dettato normativo.
Le certificazioni volontarie non sostituiscono gli obblighi EUDR, ma possono rappresentare strumenti validi all’interno di una strategia più ampia di gestione del rischio.
La sfida per gli operatori economici è saper valutare il valore probatorio reale dei certificati, integrandoli con tecnologie e dati verificabili per una compliance robusta e difendibile.